Trapiantare una pianta è la cosa più delicata che si possa fare, sopratutto se sono già diversi anni che sta crescendo in un posto.
Allora perché toglierla, penserai?
Ed effettivamente è quello che mi sono domandata anche io e non tanto per la fatica di zappare intorno e poi scavare con la pala, quanto invece per lo stress che la pianta subisce e per la probabilità futura che possa morire.
Mentre riflettevo sul da farsi è comparsa nella mia mente una corrispondenza con una fase della vita che sicuramente, almeno una volta, passiamo tutti, perché è così che deve essere, è per questo che nasciamo umani, per fare esperienza del cambiamento, dell’impermanenza e la natura è Impermanenza per eccellenza e grazie a lei possiamo osservarla dall’esterno e riportare dentro tutto l’insegnamento.
Le piante che mi hanno fatto da maestre oggi di questo sono un Noce e un Nocciolo.
Sicuramente grazie ad un topolino che, cercando un posto sicuro dove poter nascondere i frutti, per mangiarli con calma più tardi, li ha invece dimenticati (cosa che accade spesso) e sono germogliati e cresciuti vicino alla base di un altro grande albero.
Forse il nocciolo, se tenuto basso tagliando i rami via via che crescono, avrebbe potuto condividere lo spazio, ma il noce certamente no. È un albero che si sviluppa molto, sia in larghezza che in altezza. Ma per dare la possibilità anche al nocciolo di crescere in tutto il suo potenziale, ho deciso di spostare entrambi.
“Immagina che tutto quello che hai sempre desiderato
un giorno si materializzi e diventi la tua vita.
Poi, quando cominci a crederci, sparisce
e di colpo diventa molto difficile immaginare un futuro.”
(cit)
Chi non ha vissuto un evento traumatico che ha stravolto tutte le aspettative?
Questi accadimenti ci svegliano, ci costringono a voltare lo sguardo verso dove non stavamo guardando, ci obbligano a vedere cose di noi che non ci piacciono, ci scuotono, ci fanno sentire come dentro ad un frullatore che piano piano ci fa a fettine e in tutto questo roteare perdiamo l’ancoraggio e il nutrimento.
Io credo che una pianta strappata dal posto in cui stava crescendo viva più o meno le stesse sensazioni.
Ma cosa fa lei dopo?
Si riadatta alle nuove condizioni, tira fuori tutte le sue risorse, prende il nutrimento che il posto le offre, espande le sue radici, si ancora di nuovo al terreno e riprende a vivere.
Un grande insegnamento questa forza della natura che si trova anche dentro di noi, ma che spesso rimane celata da dubbi, pensieri, preoccupazioni, ansie, paure, che reprimono tutte le nostre potenzialità.
Se fossimo piante ci affideremmo alla natura e sentiremmo che energie superiori sono lì presenti, pronte per noi a dare conforto; diventeremmo consapevoli della presenza di tutte queste emozioni e non ci lasceremmo influenzare.
Ma lo siamo! Anche noi siamo piante che crescono e “lottano” per il nutrimento, per la ricerca di un posto comodo dove stare e per riprodursi. Solo che ci aggiungiamo un carico di emozioni e di coscienza che rendono apparentemente un po’ più complicato tutto, ma non impossibile.
Il fatto che al trapianto le piante a volte non superino il forte trauma e non sopravvivono, ci insegna lo stesso a reagire.
Ogni evento doloroso e destabilizzante che ci capita fa avvenire dentro di noi una piccola morte; la morte di un vecchio processo che da ora in poi non ci serve più e dal quale quindi dobbiamo imparare a disidentificarci e a lasciarlo andare.
La mutevolezza della vita porta con sé continue morti, continui cambiamenti e riuscire ad imparare a stare al passo con essi significa riuscire ad imparare a vivere.
Benedizioni _/\_
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Fotografie: Sabrina Calieri
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