Oggi il bosco mi chiamava; ho seguito la sua voce, pur non sapendo cosa mi sarei aspettata.
Già dopo i primi metri in macchina sapevo che avrei lasciato il sole per raggiungere un posto che neanche si vedeva da dove invece solitamente si distingue ogni sua forma.
Mi sono detta: “Ma dove sto andando?”, però non mi sono fermata.
Ho continuato a guidare, fiduciosa e motivata.
Non mi sono fermata neanche quando la visuale ha iniziato a diminuire il suo raggio.
Ammetto che un po’ di paura l’ho sentita, un po’ di domande inibitorie me le sono fatte e il cuore batteva forte.
Ma, osservando bene la situazione, obiettivamente, non c’era alcun pericolo; solo un “mare” di nebbia che allagava la strada, che si ritirava quando mi facevo avanti e che si richiudeva di nuovo alle mie spalle.
Avvolta in questo mistico manto, arrivo.
Lascio la macchina al parcheggio desolato e inizio la mia camminata.
Dopo qualche metro mi congratulo con me stessa per non essere tornata indietro; ringrazio quella parte di me che ha fatto sì che fossi lì, immersa in quella fantastica atmosfera.
È un posto magico quello e così lo era ancora di più.
Non vedevo il paesaggio, non distinguevo l’orizzonte e non c’era differenza fra cielo e terra. C’ero io, la nebbia, il silenzio e il vento.
Il silenzio e il vento facevano a gara a chi interrompeva l’altro più rapidamente possibile; dal mio punto di vista, insieme, armonizzavano un suono e un canto in perfetta sintonia con il paesaggio annebbiato.
E io? E io ero lì, che camminavo a volte a testa alta per affondare lo sguardo nella nebbia e a volte a testa bassa per ripararmi dal vento, che mano a mano che salivo, si faceva sempre più irruento.
Arrivata in cima al crinale non c’era il solito panorama ad attendermi;
lì c’era solo il vento che urlava così forte da farmi fischiare le orecchie;
che soffiava così intensamente da sbandierare i miei pantaloni e gonfiare il giubbotto;
che sbuffava tenacemente da rendersi visibile sbattendo la nebbia da una parte all’altra.
Mi spingeva, quasi a volermi dire di tornare indietro, di andare in un posto più sicuro: “Ho capito, ho capito.”, rispondevo.
Non avevo paura, non era arrabbiato. Lui è così; la sua forza e la sua energia le esprime così, espirando profondamente fino a che non si placa.
Non si ferma, lui non si esaurisce.
Rallenta la sua respirazione e si sposta di luogo in luogo, portando con sé:
profumi soavi per raccontare di amori perduti e mai dimenticati;
foglie secche per depositare un substrato dove più ce ne è bisogno;
polline per creare nuova vita da qualche altra parte;
sabbia per costruire nuovi territori;
acqua per bagnare luoghi aridi o riempire buche profonde.
Poi, quando ha svolto il suo dovere, concede a sé stesso svago e sollazzi.
Si ritira in un posto desolato, un luogo aperto dove può manifestare tutta la sua potenza ed esprimere gioia o frustrazione, senza esitazione, senza vergogna, senza giudizio.
E per “fortuna” io oggi ero lì, con lui, ed era bellissimo!
E tu? Dove ti apri così?
Gratis et Amore Dei
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Fotografie: Sabrina Calieri
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